Per quanto il simpatico quadrupede ritratto in foto possa avere lo sguardo vispo e intelligente, dobbiamo confessare che non è vero che sappia pronunciare alcune parole in inglese. Precisazione ovvia, si dirà, e speriamo davvero che nessuno abbia mai pensato che la notizia potesse essere fondata.
Quante volte però ci si trova davanti a notizie che, pur essendo facilmente verificabili, vengono prese per vere “sulla fiducia”, perché sono ben “confezionate”, presentano dei contenuti verosimili e/o fanno leva sui nostri sentimenti.
Dal mondo anglosassone ci è arrivato un termine specifico: post-truth (da noi tradotto in “post-verità”) utilizzato per identificare un evento “relativo a, o che denota, circostanze nelle quali fatti obiettivi sono meno influenti nell’orientare la pubblica opinione che gli appelli all’emotività e le convinzioni personali”.
Accade così che, giusto per citare un esempio, “una falsa notizia sui soldi spesi dalla Gran Bretagna per l’Europa (dato verificabile) può spostare in parte il voto sulla sua adesione alla UE”.
Il termine post-truth ha trovato così ampia diffusione in episodi recenti della vita politica internazionale, come il già citato referendum sulla Brexit o l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti, che gli Oxford Dictionaries hanno deciso di eleggerla parola dell’anno per il 2016
Anche il nostro Paese non è nuovo a episodi del genere. Per citare un esempio ricordiamo uno sketch in cui Beppe Grillo, per contestare l’impiego degli OGM, parlava di un pomodoro incrociato con il gene di un pesce artico che aveva causato in soli 4 mesi la morte per shock anafilattico di 60 ragazzi in quanto allergici al pesce. Bastano un motore di ricerca e pochi click per verificare che quanto dichiarato dal comico, oltre a essere spudoratamente falso è anche totalmente privo di senso dal punto di vista scientifico.
Siamo quindi sempre più esposti a ricevere notizie volutamente infondate con l’unico scopo di farci assumere una determinata opinione o farci venire un legittimo dubbio. Questo potenziale condizionamento delle nostre conoscenze e delle nostre esperienze diventa estremamente critico nel momento in cui siamo chiamati a dare il nostro contributo per prendere decisioni che riguardano non la singola persona ma l’intera comunità.
Come possiamo difenderci e contrastare il dilagare di questo fenomeno?
Con l’iniziativa “Chiedi le Prove” noi proponiamo l’utilizzo di un metodo condiviso che trascenda dalle singole esperienze individuali.
Il metodo che proponiamo si basa su tre valori:
- il valore dei fatti: chi fa un’affermazione, deve dire su quali fatti si basa;
- il valore della trasparenza: chi fa un’affermazione deve rendere accessibili le fonti della stessa;
- il valore della responsabilità: chi fa un’affermazione deve gestirne le conseguenze.
L’idea che sta alla base è che una società abbia bisogno di trasparenza per operare delle scelte, e la trasparenza non deriva dal parere personale di un esperto ma dalla possibilità di poter giustificare le affermazioni che vengono fatte.
Ognuno quindi deve poter validare le fonti con le quali un’affermazione è giustificata e l’iniziativa vuole promuovere la voglia di chiedere, e pretendere, i riferimenti delle affermazioni con cui veniamo in contatto.
Per ulteriori informazioni e per aderire all’iniziativa, ti suggeriamo di leggere l’intervista a Sergio Della Sala (Professor of Human Cognitive Neuroscience all'Università di Edimburgo, presidente del CICAP e promotore dell’iniziativa Chiedi le Prove), e consultare il nostro manuale.