“Ma che ti sei messo in testa?”: l'avete mai sentito? Siamo sicuri di sì. Spesso è usato quando, almeno da chi lo dice, forse si ravvisa nell'affermazione dell'interlocutore qualcosa di inadeguato o incomprensibile. Ma non è solo una metafora. Se si tratta di proteggere la propria testa cessa di essere una metafora e la faccenda si fa meno soggettiva. Parliamo di caschi protettivi.
“Ma che ti sei messo in testa?”. Di nuovo, e questa volta il nostro interlocutore forse ce l'ha proprio con quello che ci siamo messi in testa che è appunto un casco, uncasco da bicicletta. Forse questa volta la sua osservazione sembrerebbe meno astratta, non perché sia brutto o cosa ma se continua con una frase tipo “Ma guarda che in Italia non è obbligatorio al momento indossare un casco quando si è in bicicletta!”. Vero, il nostro interlocutore ha ragione: allo stato attuale, non è obbligatorio. Qualcuno potrebbe però aggiungere, secondo noi senza peccare di logica, un bel purtroppo: purtroppo non lo è. La Scienza in genere ha il dovere di dimostrare anche l'ovvio, anche quello che sarebbe per molti intuitivo e di “buon senso”. E ci vuole quindi uno studio scientifico per capire che un casco protettivo gioca un ruolo importante nella protezione dai rischi per la nostra testa? Sì, ci vuole.
In letteratura, che noi sappiamo, infatti sono molte le evidenze che lo dimostrano: i caschi si sono rivelati molto efficaci nella prevenzione di danni alla testa anche severi, prevenendo oltretutto parecchie commozioni cerebrali. E l'uso della bicicletta non fa eccezione. Uno di questi studi [1] ci viene indicato dall'azienda svedese Mips che, leggiamo sul loro sito [2], è specializzata nella protezione e la sicurezza dei caschi protettivi e definita come un leader mondiale in questo settore. E in effetti, e continuando a navigare sul loro sito, leggiamo che molti marchi, anche molto famosi, si avvalgono della loro tecnologia. Una tecnologia molto particolare, la definiremmo almeno noi. E lo stesso deve aver pensato forse anche il nostro asker Roberto incuriosito dalle loro dichiarazioni: particolare perché nel complesso “intende ridurre la forza di rotazione alla testa su determinati impatti angolari” [3]. Secondo noi, non è poco: bella intuizione e ottima idea.
Sapendo che una simile tecnologia potrebbe avere un certo impatto sulla vita di molte persone, l'asker ha scritto quindi all'azienda chiedendo le prove delle loro affermazioni. Nello specifico ha chiesto quali sono gli studi, eventualmente condotti seguendo un rigoroso protocollo scientifico, che dimostrano che "per determinati impatti, la tecnologia Mips può ridurre le forze di rotazione dannose che potrebbero altrimenti essere trasferite alla testa" e se, eventualmente, esistono studi con un'ampia portata come le Revisioni Sistematiche. La risposta dell'azienda non si è fatta attendere: già 2 giorni dopo si dichiarava interessata alla questione e chiedeva qualche giorno per una risposta esaustiva. Risposta che è giunta puntuale nei 2 giorni successivi.
E di studi ne hanno portati, e pure tanti. Fra cui anche quello studio di cui parlavamo all'inizio di questa storia: il casco in linea generale protegge ed è meglio indossarlo, anche in bicicletta. Ma vediamo nello specifico la risposta all'ask e se esiste magari una Revisione Sistematica che possa, allo stato attuale e in base all'insieme di prove scientifiche solide e robuste da fonti autorevoli e imparziali, giustificare le loro dichiarazioni sulle prestazioni della tecnologia Mips.
Prima di addentrarci nella discussione delle prove che ci sono giunte, a noi corre l'obbligo di evidenziare ancora una volta l'oggetto principale di questa tecnologia: gli impatti laterali, e non frontali. Che noi sappiamo, in Europa esiste la normativa EN 1078 [4] che regolamenta la fabbricazione di caschi protettivi ma, per quanto ci è dato di sapere, è focalizzata soprattutto sui rischi derivanti dalle cadute frontali. Nel caso specifico di questa storia, parliamo dell'uso che se ne può fare andando in bicicletta e per quanto ci risulti le cadute laterali con questo mezzo di locomozione in linea generale e nel complesso sono statisticamente più numerose di quelle frontali. E sempre parlando di biciclette aggiungeremmo pure che, secondo noi, la normativa citata potrebbe presentare un oggettivo limite: questo è uno dei motivi che per noi danno un valore aggiunto a questa storia, ampliandola di portata.
Troviamo che le prove che ha inviato l'azienda sono numerose e di particolare consistenza. Numerose forse anche troppo. Fra le prove addotte, hanno proposto una trentina di studi di varia portata e natura: dalle commozioni cerebrali all'importanza del casco protettivo, dalla valutazione degli impatti laterali della testa alla proposta di modifica della normativa EN 1078, dalle proprietà meccaniche del tessuto cerebrale all'influenza dei carichi rotazionali in caso di impatto. Tutto molto interessante ma c'è un ma secondo noi da considerare. Come già successo in altre delle nostre storie che vi abbiamo proposto in questi anni, questi lavori non stanno rispondendo nello specifico alla richiesta del nostro asker, una richiesta che oltretutto era espressa in termini molto generici e dunque facilmente indirizzabili con lavori di revisione sistematica. E non crediamo neppure che sia necessaria la malafede per adottare un simile atteggiamento, anzi secondo noi è proprio in certi casi la buona fede che porta a un, diciamo così, eventuale eccesso di zelo. Un po' come in genere chiedere che ore sono e sentirsi rispondere, e pure in buona fede, con un trattato sulla meccanica degli orologi. Magari il più bel trattato del mondo, quello più accurato e redatto dai più importanti fabbricatori di orologi che ci siano, grazie tanto ma io ti ho chiesto l'ora.
Analizziamo allora alcuni di quei documenti che ci sembrano rispondere più di altri all'ask oggetto di questa nostra storia. Anche qui abbiamo più di uno studio da analizzare e bisogna leggerli tutti uno per uno per identificare nello specifico la risposta alla domanda del nostro asker. Fra le diverse prove proposte, secondo noi spicca il test STAR Methodology for Bicycle Helmets [5] del Virginia Tech Helmet Lab. Estrapoliamo qualche sua caratteristica e citiamo: “Per condurre le prove di impatto viene utilizzata una torre a caduta obliqua. Un'incudine in acciaio a 45° produce velocità incidenti normali e tangenziali associate a impatti obliqui. Questo angolo cade al centro di una gamma di angoli di impatto della testa del ciclista. L'incudine è rivestita con carta vetrata a grana 80 per simulare le condizioni stradali e viene sostituita ogni quattro prove. Per ogni prova, una riproduzione di una testa di medie dimensioni con casco viene posizionata in un anello di supporto collegato alla torre di caduta e fissato in posizione con un braccio a leva che viene rilasciato poco prima dell'impatto”.
Nel Development of the STAR Evaluation System for Assessing Bicycle Helmet Protective Performance [6] 30 modelli di caschi da bicicletta sono stati utilizzati nel test STAR con dimensioni selezionate in base alla circonferenza della testa. Quattordici i diversi marchi rappresentati e vari modelli. Molti dei caschi erano dotati della tecnologia MIPS e cioè di uno speciale inserto progettato per creare uno strato traslante tra la testa e il resto del casco durante l'impatto. Dei 14 marchi rappresentati in questo set di caschi, nessun singolo marchio ha raggiunto il valore massimo o il valore minimo di protezione. I caschi da città generalmente producevano nel complesso minore protezione rispetto ai caschi da strada. Ai primi quattro posti per una maggiore protezione comparivano 4 caschi dotati di tecnologia MIPS. Questi risultati suggeriscono che lo strato traslante potrebbe essere una tecnologia efficace nel ridurre la cinematica dell'impatto rotazionale.
Spulciando ancora fra i numerosi documenti, troviamo secondo noi interessante pure il Consumer Testing of Bicycle Helmets[7]nell'ambito della IRCOBI Conference 2017. Nell'abstract leggiamo che gli attuali standard del casco da bicicletta non includono l'accelerazione angolare per la certificazione anche se è noto che è la causa dominante di lesioni cerebrali. L'obiettivo di questo studio era quello di contribuire a sviluppare una metodologia migliorativa che comprendesse anche gli impatti obliqui per valutare i caschi venduti nel mercato europeo. Quattro test fisici: assorbimento degli urti con impatto perpendicolare rettilineo e tre prove di impatto obliquo. Inoltre sono state anche effettuate simulazioni virtuali per valutare il rischio di lesioni. In totale 17 caschi convenzionali e un casco con airbag incluso. Da quanto leggiamo e anche qui, i caschi dotati di tecnologia MIPS si sono comportati meglio degli altri. Leggiamo anche una nota che almeno noi, e nell'ambito dell'oggetto di questa nostra storia, troviamo importante e ci fa piacere ribadire: “Tuttavia tutti i caschi devono ridurre l'accelerazione di rotazione in modo più efficace. Un casco che rispetta gli standard correnti non è detto che prevenga una commozione cerebrale”. Intendiamoci: nessun casco protettivo (e quelli per le biciclette rappresentano solo uno dei numerosi campi di applicazione) protegge in assoluto al 100% dai rischi che vorrebbe prevenire ma ci sembra di capire che nel complesso e in linea generale l'attuale normativa europea comprenda più i danni alla struttura ossea che quelli ai tessuti cerebrali e questo, almeno secondo noi, è un oggettivo limite a cui si dovrebbe porre rimedio.
In particolare, troviamo importante citare e reiterare che “una commozione cerebrale potrebbe causare sintomi permanenti come la perdita di memoria ed è stata segnalata come una lesione comune derivante da urti alla testa in incidenti con biciclette. La lesione cerebrale è principalmente causata dal movimento rotatorio piuttosto che dalle forze lineari. Nonostante questo, gli attuali standard non includono l'accelerazione angolare per la certificazione (assorbimento degli urti, inclusa la EN 1078) e sono stati oggetto di critiche poiché vi è il rischio che l'effetto sia che i caschi oggi siano progettati principalmente per ridurre il rischio di frattura del cranio e non di lesioni cerebrali. Gli impatti obliqui saranno probabilmente inclusi negli standard futuri”.
Come dicevamo, avremmo ancora altre prove su cui discutere ma nel complesso riteniamo che non rispondano nello specifico all'ask oggetto di questa storia, se non in maniera indiretta o comunque relativa. Ma insomma e alla fine di questa nostra discussione ci sono o no prove che possano giustificare le affermazioni dell'azienda? Vediamo di seguito le nostre conclusioni e dove, per una volta, ci permettiamo non solo di trarle relativamente alla domanda del nostro asker ma anche di offrirvi altre considerazioni che comunque riguardano nel complesso il tema affrontato in questa storia.
Conclusioni
Secondo noi, in linea generale e nel complesso, la tecnologia Mips potrebbe contribuire a ridurre la forza di rotazione alla testa su determinati impatti angolari. E ci fa piacere ribadire che è una bella intuizione e un'ottima idea. Per favore, fateci caso: molti caschi protettivi (anche per esempio quelli da sci) che di solito forse indossate potrebbero averla adottata: guardateci, lo saprete perché da qualche parte probabilmente c'è un piccolo tondino giallo con la scritta nera come quello in copertina.
Nelle nostre numerose storie che abbiamo pubblicato in tutti questi anni, spesso abbiamo incontrato piccole realtà produttive o addirittura e per esempio ditte individuali che proponevano, e sempre solo per esempio, integratori dalle proprietà quasi miracolose ma alla richiesta di prove sparivano, oppure società di persone (e non di capitali!) che invitavano ad acquistare i loro prodotti promettendo risultati mirabolanti e che alla richiesta di prove rispondevano con franchezza e in perfetta buona fede proponendo però prove di scarsa evidenza scientifica: “Ma non basta uno studio su 5 persone?” No, non basta. Ma per quanto ne sappiamo la Mips è una Corporation e i marchi che adottano la loro tecnologia sono numerosi e anche abbastanza noti. Abbiamo dovuto faticare non poco per dipanare la matassa delle numerose prove che hanno proposto al nostro asker: non le abbiamo contate ma che noi ricordiamo sfiorano le 50 unità, un lavoro dispersivo. Quello che almeno a noi desta sincera meraviglia è il fatto che una realtà secondo noi così importante non abbia presentato una Revisione Sistematica, chiara, esaustiva, completa e a vasto raggio, che dimostrasse con prove solide e robuste e in un colpo d'occhio l'efficacia della loro tecnologia. Forse non l'hanno presentata (anche se era stata esplicitamente richiesta!) magari per la ragione più semplice: non è mai stata fatta. Una singola prova complessiva, quando ben fatta, revisionata sistematicamente sulla base di tutti gli altri studi ed evidenze, avrebbe permesso un iter più semplice e, che noi sappiamo, scientificamente più usuale.
E quindi ecco il nostro primo invito in queste conclusioni e ci rivolgiamo direttamente all'azienda svedese protagonista di questa nostra storia: fatela questa revisione sistematica, per favore. Secondo noi il materiale c'è tutto. Pensateci. Siete una realtà importante a livello mondiale: permettetevi questo lusso. Il secondo invito invece è rivolto alle autorità europee competenti in materia, nel caso improbabile ma non del tutto impossibile che leggano mai questa nostra discussione: per favore, mettete mano alla normativa EN 1078, a noi sembra proprio che debba essere aggiornata in base alle attuali evidenze visto anche che si tratta nel complesso di un tema di salute pubblica.
L’iniziativa Chiedi le Prove è consapevole di come il dialogo sia l’unico modo per rendere una società realmente responsabile e attenta alle proprie esigenze. Rimaniamo sempre a disposizione di chiunque voglia contattarci in proposito qualora ci sia la volontà di dare origine a un dialogo che risulti costruttivo e in particolar modo dell'azienda che abbiamo citato restando disponibili fin d'ora ad esaminare nuove evidenze ed eventualmente a rettificare la nostra analisi con le prove che l’azienda volesse fornirci in futuro.
[1] Influences on the Risk of Injury of Bicyclists' Heads and Benefits of Bicycle Helmets in Terms of Injury Avoidance and Reduction of Injury Severity 2014-01-0517
[2] https://mipsprotection.com/
[3] https://mipsprotection.com/helmet-safety/product-range-mips-essential
[4] EN 1078, entitled Helmets for pedal cyclists and for users of skateboards and roller skates, is a European standard published in 1997. It is the basis of the identical British Standard BS EN 1078:1997. Compliance with this standard is one way of complying with the requirements of the European Personal Protective Equipment Directive (PPE; 89/686/EEC)
[5] STAR Methodology for Bicycle Helmets Megan L. Bland, Craig McNally, and Steven Rowson Version Date: 5/30/18
[6] Development of the STAR Evaluation System for Assessing Bicycle Helmet Protective Performance Megan L Bland 1, Craig McNally 2, David S Zuby 3, Becky C Mueller 3, Steven Rowson 2 Affiliations expand PMID: 31372859 PMCID: PMC6928078 DOI: 10.1007/s10439-019-02330-0
[7] Consumer testing of bicycle helmets Paper in proceeding, 2017 © 2017 International Research Council on the Biomechanics of Injury. All rights reserved.